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Intervista con Schmopera – versione italiana

La bohème: che ruolo ha svolto nella sua carriera fino ad adesso?

La boheme! Praticamente ha occupato tutta mia vita fino ad ora: ho debuttato alla Scala con Schaunard nel 2005 e in quella occasione che era la mia prima scaligera ho lavorato con il maestro Franco Zeffirelli. Ero molto nervoso, poiché ero il più giovane della compagnia e avevo paura di non essere all’altezza. Ricordo che lavorai intensamente con Marco Gandini per preparare il mio personaggio prima dell’arrivo del maestro, e che ripetevo e ripetevo all’infinito la mia sortita del primo quadro quando Schaunard entra e porta soldi e vettovaglie nella soffitta. Poi venne il giorno in cui arrivammo sul palco della Scala alla presenza di Zeffirelli. Ero emozionatissimo e quando arrivò il momento di aprire la porta e entrare, mi ritrovai davanti a lui, gettai le monete e iniziaI a cantare, ma dopo due o tre frasi, lui si alzò, fermò la prova, venne verso di me e mi disse: “ Mi hanno detto che lo Schaunard è un ragazzo molto giovane e che io devo essere accondiscendente perché lui è alla prima esperienza, allora ti dico adesso non pensare a niente solo canta e facci godere di questa voce splendida che hai! “
Ricordo che mi emozionai e che dopo tutto fu in discesa; poi il maestro mi firmò con una dedica il mio spartito di Bohème che ancora porto con me. Da allora ho cantato più di centotrenta Bohème tra Schaunard e Marcello, e di storie su quest’opera ne ho tantissime, ma quella mi rimarrà sempre nel cuore. La mia prima volta al Teatro alla Scala accanto a un pezzo di storia vivente del teatro mondiale.

 
Che cosa ha significato studiare e iniziare la sua carriera in importantissimi centri operistici come Milano e Lucca?

Sono fortunato perché sono nato nella città che ha dato i natali a grandi musicisti come Puccini, Catalani e Boccherini, una città che è da sempre una culla di cultura e impegno nella musica e nell’arte. Ho studiato a Lucca per tre anni e poi mi sono ritrovato nella grande Milano che mi ha dato la possibilità di perfezionare la mia impostazione con lo studio all’Accademia della Scala e di affacciarmi al panorama italiano e internazionale partendo dal Teatro alla Scala, che è senza dubbio il palcoscenico per eccellenza del teatro lirico.
Ho avuto la fortuna di studiare con grandissimi artisti che mi hanno trasmesso la loro esperienza e mi hanno insegnato a essere a mia volta un artista serio. Devo ricordare prima di tutto la signora Luciana Serra con la quale ho studiato a Milano nei miei anni accademici e con la quale ancora oggi studio per mia fortuna, e la signora Leyla Gencer che veramente rimane nel mio cuore per la sua grande passione e amore per la lirica e per i giovani ai quali ha dato tutta sé stessa come una madre. Ho incontrato nella mia vita di cantante tanti altri maestri e interpreti grandissimi e ho provato a catturare da loro quello che è la loro arte. Sicuramente ho avuto opportunità che ad altri non sono state date: ho sempre cantato con i grandissimi e nei migliori teatri, ma anche io ho preso decisioni importanti quando ho accettato di cantare “fest” a Zurigo per cinque anni e crescere gradatamente, seguito passo passo nello studio dei ruoli.
Nascere in Italia e studiare lì è una grande fortuna, si respira il teatro e la storia della lirica, e come italiano posso apprezzare fino in fondo e consapevolmente la storia del teatro e il processo di crescita della scrittura operistica, la lingua e la tradizione che sono propri dell’italianità. Sono poi felice di provenire da una famiglia contadina, dalla terra che mi ha dato e ancora mi dà l’appartenenza alle radici storiche e culturali e anche l’attaccamento ai valori della famiglia della patria e della fede che sono in molti casi alla base anche dell’opera lirica in sé stessa.

 
Che cosa trova di unico nel pubblico italiano?

Il pubblico italiano secondo me rimane uno dei pubblici più critici e iperreattivi di tutto il panorama mondiale. Quando si canta in uno dei teatri di tradizione in Italia o anche in una Fondazione si può facilmente inciampare in aspre critiche, critiche legate alla tradizione operistica e alla storia di quel particolare teatro.
Ci sono ancora molti appassionati che hanno iniziato a frequentare il teatro trenta o quarant’anni fa anni fa; alcuni che ho conosciuto a Milano hanno iniziato a vedere spettacoli alla Scala negli anni ’50 e questo li mette nella condizione di notare le enormi differenza tra il teatro di oggi e quello della tradizione lirica. Oltre alla memoria visiva hanno una memoria uditiva e soprattutto paragonano la vita da super star mediatiche dei divi degli anni ’60-’80 con quella di oggi che è più un divismo di nicchia e non mediatico come quando i cantanti lirici erano vere e proprie star del panorama mondiale. Forse il loro orecchio avrà perso una parte del suono che hanno sentito in quelli anni, ma ricordano la felicità e l’emozione che dava loro incontrare questi personaggi nelle pagine dei giornali, alla TV o al cinema, nonché ovviamente in teatro.
Gli italiani che frequentano i loggioni sono un pubblico colto, valutano non tanto seguendo l’emozione del momento ma veramente in base alla qualità dell’esecuzione. Ci sono anche situazioni in cui invece l’emozione sovrasta un’ esecuzione in cui magari un artista non è in forma perfetta, ma nel 90% dei casi vengono molto criticate le esecuzioni in base alla memoria storica di quel pubblico o di quel teatro.
Anche nelle piccole realtà, nei teatri di provincia o anche nelle sale delle associazioni musicali, il pubblico ha sempre una propria specifica idea riguardo al canto lirico o al titolo o all’esecuzione dello spettacolo e molti nel pubblico si prendono la libertà di criticare o di astenersi dal battere le mani. Però posso anche dire che il consenso del pubblico in Italia ha un maggior valore che altrove, perché passare indenni o esser calorosamente applauditi al Teatro alla Scala o a Napoli, Venezia, Torino, Palermo, Firenze o Roma è un segno di vero successo inequivocabile.

 
Basandosi sulle sue esperienze, che differenza trova fra il pubblico in Asia e quello europeo?

Il pubblico in Asia ha grande rispetto per gli artisti; specialmente in Giappone il pubblico conosce tutto sugli artisti che cantano come ospiti nei loro teatri, li seguono proprio come succedeva in Europa o in America negli anni ’60-’80, conoscono le voci e hanno collezioni complete delle loro esecuzioni. Sono appassionati dei CD e dei DVD, e apprezzano le esecuzioni dal vivo con grande entusiasmo e passione. Non ho mai sentito sentito critiche o fischi in Giappone: il pubblico giapponese applaude sempre ma regala il grande successo a chi lo merita veramente e si emoziona con vero e proprio orgoglio quando assiste a spettacoli di artisti ospiti provenienti dai teatri europei o americani.
In Cina ancora si deve formare una vera e propria idea lirica: ci sono grandi spettacoli specialmente a Pechino, e i migliori del mondo cantano nelle bellissime strutture a Shangai e nella capitale, ma il pubblico è ancora in fase di formazione. Ci sono però anche lì melomani e grandi finanziatori che investono nella lirica e sono sicuro che questo porterà a breve ad una nazionalizzazione del teatro lirico.
Non sono mai stato in Corea ma vista la grandissima affluenza di cantanti e musicisti coreani penso che anche in questo paese la musica e il teatro siano un vero e proprio contenitore di grande arte. Anche il Medio Oriente sta vivendo una genesi del teatro lirico: ci sono nuove strutture nei paesi arabi della penisola, ho cantato a Muscat e a Dubai e il pubblico conosce bene il teatro perché nel 90% dei casi provengono da paesi europei o americani dove hanno imparato a amare il teatro lirico, sanno bene dove e come applaudire e hanno gia un loro gusto esecutivo. Anche qui non ci sono però manifestazioni di critica aperta nei confronti degli spettacoli. L’atmosfera quando si canta in Asia è molto più rilassata e serena e il pubblico mette gli artisti a proprio agio assumendo la parte di “quarto lato” del palcoscenico, così che lo spettacolo respira insieme con loro e l’emozione si può sentire nell’aria.

 
Dieci anni fa, che cosa avrebbe voluto sapere del canto lirico che sa adesso e che non sapeva allora?

Grazie per questa domanda: posso dire che in dieci anni le cose sono profondamente cambiate. I cambiamenti che in passato avvenivano in una generazione adesso si verificano in dieci anni e forse a volte anche meno. Quando io ho iniziato a cantare il teatro era diverso da oggi: i social media e la globalizzazione hanno velocizzato tutto all’ennesima potenza, le distanze si sono azzerate e allo stesso tempo sono diventate incolmabili. Oggi più o meno a tutti vengono date opportunità, ci sono cantanti e artisti provenienti da tutte le parti del mondo e ogni giorno decine di nuovi artisti si riversano nel mercato mondiale. La velocità con cui questi giovani nuovi artisti raggiungono una certa notorietà è davvero immediata ma poi però la grande difficoltà consiste nel rimanere ad alti livelli. Non esiste più una vera e propria gavetta, fatta di esperienze nei teatri minori e di ruoli piccoli e medi. Oggi si parte subito dai grandissimi teatri e subito con i ruoli della maturità. In certi casi le carriere durano il tempo di un sospiro e questo per colpa di questo mercato sempre pieno di alternative e del fatto che oggi si ricerca a tutti i costi la “novità”. Eccezion fatta per certi artisti che hanno raggiunto la maturità e la fama, e che quindi continuano poi seguendo le regole storiche del teatro, per tutti gli altri “giovani” il teatro corre e chiede sempre il nuovo, si premia molto di più un nuovo personaggio che non in certi casi la bontà e l’esperienza di un artista che ha lavorato e costruito la propria carriera con gli anni.

 
Perché ha deciso di intraprendere la carriera di cantante lirico professionista?

Io ho la fortuna di cantare a livello professionistico da oltre dieci anni, e ogni giorno lavoro per migliorare il mio canto e tenere alta la mia professionalità. Il canto deve essere professionale, ogni tipo di canto e di esecuzione dal vivo deve avere una solida base di lavoro e studio. Non si può accettare la generalizzazione e la superficialità esecutiva: per cantare lirica ad alto livello ci vuole grande concentrazione e una vita dedicata al lavoro e alla voce.
Io non avrei mai immaginato quando avevo quindici anni o anche vent’anni che avrei fatto questo splendido mestiere e avrei girato il mondo regalando l’emozione con la voce, ma da quando ho scoperto la mia voce ho sempre cercato di emozionare, e credo di riuscirci perché ci sono tante persone che mi seguono in teatro e adesso anche sui social media, che mi vogliono bene e mi sostengono con la loro amicizia.
Oggi molte cose sono cambiate nei gusti del canto, si guarda molto all’apparenza delle cose e anche alla vendibilità; non voglio generalizzare ma molto spesso il mercato comanda rispetto all’aspetto puramente tecnico vocale, ma io cerco sempre di soddisfare le mie necessità artistiche e culturali e di educare le nuove generazioni a riconoscere ciò che di “bello” vi è nella vita, e a ricercare interessi culturali che elevino moralmente l’uomo. L’opera è nata per trasmettere un messaggio e destare emozioni nel pubblico, ma anche per insegnare e educare. Non potrei mai fare il cantante lirico senza questo messaggio nel cuore.

 

– Intervista di Jenna Douglas pubblicata su http://www.schmopera.com/talking-with-singers-massimo-cavalletti/ in inglese –

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